Avvocato Domenico Esposito
 

 

IL CONTRIBUTO AL MANTENIMENTO NON VIENE DISPOSTO SE I REDDITI DEL CONIUGE GLI PERMETTONO DI CONSERVARE LO STESSO TENORE DI VITA TENUTO DURANTE IL MATRIMONIO

 

“In tema di separazione personale tra i coniugi, al fine della quantificazione dell'assegno di mantenimento, il giudice del merito deve anzitutto accertare il tenore di vita dei coniugi durante il matrimonio, per poi verificare se i mezzi economici a disposizione del coniuge gli permettano di conservarlo indipendentemente dalla percezione di detto assegno” (dalla massima).

 

 

CASSAZIONE CIVILE, SEZ. I 12/06/2006 N. 13592
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                           
Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella                    -  Presidente   - 
Dott. GILARDI  Gianfranco                         -  Consigliere  - 
Dott. GIULIANI Paolo                              -  Consigliere  - 
Dott. PANZANI  Luciano                            -  Consigliere  - 
Dott. SALVATO  Luigi                         -  rel. Consigliere  - 
ha pronunciato la seguente: 

sentenza

sul ricorso proposto da:
………………………………., elettivamente domiciliato in Roma, via ……………   presso l'avv. ………………. rappresentato e difeso dall'avv. ….., giusta procura a margine del ricorso;  - ricorrente -
contro
…………………..,  elettivamente domiciliata in Roma, via …………………., presso lo studio dell'avv. ………………., dal quale è  rappresentata  e  difesa, unitamente  all'avv. ……………………, giusta procura a margine del controricorso;             - controricorrente -
avverso la sentenza della Corte d'appello di Venezia depositata il  6giugno 2002;

udita  la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del  9 maggio 2006 dal Consigliere Dott. Luigi SALVATO;
udito per il ricorrente l'Avv. …………………..,  che ha  chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale  Dott. CARESTIA Antonietta, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Treviso, con sentenza del 30 maggio 2001, pronunciava la separazione personale di ………………………….  dalla moglie ………………., con addebito al primo, a carico del quale stabiliva l'assegno mensile di L. 1.200.000, rivalutabile annualmente secondo gli indici ISTAT, per il mantenimento della moglie e dei figli.

Il ………………………. proponeva appello al quale resisteva la ……………....

La Corte d'appello di Venezia, con sentenza del 6 giugno 2002, rigettava l'impugnazione.

Per quanto qui interessa, la Corte territoriale osservava che: a) sussistevano "concordanti, non equivoci e gravi elementi" per ritenere che il …………….., in costanza del matrimonio, aveva iniziato una relazione extraconiugale che aveva determinato l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza; b) gli elementi acquisiti dimostravano che il "tenore di vita del ……………... (...) è sostanzialmente molto alto", mentre la ………………. "non ha proventi o redditi che le consentano una vita decorosa ed analoga a quella goduta in costanza del lungo rapporto matrimoniale" e, conseguentemente, rigettava il gravame anche nella parte concernente l'assegno di mantenimento, ritenendo inammissibili, perchè generiche ed irrilevanti, le istanze istruttorie articolate dall'appellante.

Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso ………………….., affidato a sette motivi (indicati invece nel numero di sei secondo l'erronea numerazione contenuta nell'atto), illustrati con memoria; ha resistito con controricorso ……………………, che ha altresì depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Il ricorrente, con il primo motivo, denuncia omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5), nonchè violazione o falsa applicazione degli artt. 151 e 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, deducendo che la sentenza impugnata, in contrasto con l'orientamento di questa Corte, secondo il quale in tema di accertamento della condotta del coniuge contraria ai doveri nascenti del matrimonio non è consentito derogare alle regole generali sull'onere della prova (Cass. n. 12136 del 2001), ha desunto la prova della relazione extraconiugale da testimonianze de relato, malamente applicando l'art. 2697 c.c. e artt. 115 e 116 c.p.c.

L'istante puntualizza l'opportunità di "ribadire quanto già esposto nel ricorso in appello", riportando alcune dichiarazioni rese dai figli …………………. e ………………………... al fine di dimostrare l'inidoneità delle loro deposizioni a dimostrare la succitata relazione. Il figlio si sarebbe infatti limitato ad affermare di "sapere che il padre aveva una relazione" senza precisare le fonti della conoscenza, limitandosi a riferire di un pranzo insieme con la sua asserita amante.

La figlia avrebbe dichiarato soltanto di avere avuto "sentore" della relazione e di averlo visto con la presunta amante "in atteggiamenti affettuosi".

Inoltre, sono irrilevanti anche le deposizioni dei testi ……………………. e …………………, i quali, rispettivamente, hanno dichiarato di averlo visto cenare con la presunta amante in "atteggiamenti affettuosi", e di avere pranzato con entrambi in occasione di una gara di rally, peraltro, quando erano in corso "le trattative per la separazione di fatto".

……………………………. con il secondo motivo, denuncia violazione o falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5), lamentando che la Corte territoriale ha omesso di valutare e decidere la censura contenuta nel primo motivo d'appello, con la quale egli aveva dedotto che il Tribunale aveva erroneamente desunto la prova della relazione dal capo di prova da lui articolato, diretto a dimostrare che i figli "sono stati in cura odontoiatrica fino al gennaio 1994 quando già sapevano da parecchi mesi della relazione della stessa con il padre". Infatti, questa circostanza, seppure fosse stata confermata, avrebbe dimostrato che i figli conoscevano la relazione appunto dal 1994, e cioè da quando era in corso la separazione.

Il Tribunale ha invece erroneamente desunto dal capo di prova l'esistenza della relazione sin dal 1991, mentre la separazione è avvenuta nel 1992, quando egli andò via di casa con il consenso della moglie, come ha chiesto di provare, mentre il Tribunale non ha ritenuto di accertare questi importanti elementi ammettendo la prova testimoniale.

Pertanto, poichè a detta questione la sentenza impugnata non fa cenno, sussisterebbe il vizio denunciato.

L'istante, con il terzo motivo, denuncia violazione o falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. in relazione all'art. 360 c.p.c. n. 3, nonchè omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5), deducendo che la Corte d'appello ha desunto argomenti di prova dalla circostanza che egli avrebbe "modificato la sua linea difensiva che originariamente non contestava la sua relazione adulterina (...) soltanto dopo il fallimento delle prove dedotte (...) e tese a dimostrare una relazione extraconiugale anche della ...................., senza indicare gli elementi a conforto di questo assunto, mentre egli neppure ha chiesto di provare una relazione extraconiugale della moglie, con conseguente violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato e, quindi, dell'art. 112 c.p.c..

......................., con il quarto motivo, denuncia violazione o falsa applicazione dell'art. 151 c.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5) nella parte in cui la sentenza ha ritenuto che la relazione extraconiugale ha determinato l'intollerabilità della convivenza, fondando questa conclusione soltanto su di una deposizione testimoniale.

A suo avviso, la Corte territoriale ha erroneamente applicato l'art. 151 c.c., in quanto, in contrasto con l'orientamento di questa Corte, non ha accertato se la succitata relazione sia stata causa determinante della separazione, omettendo di valutare complessivamente la condotta di entrambi i coniugi (al riguardo sono richiamate Cass. n. 3106 del 1983; n. 961 del 1992; n. 10682 del 2000).

L'istante deduce quindi che con i capitoli di prova testimoniale articolati in sede di precisazione delle conclusioni aveva chiesto di dimostrare che la separazione era riconducibile alla conflittualità maturata tra lui e la moglie, che li aveva indotti a concordare la separazione di fatto alla presenza dell'avv. ………………………., prevedendo che egli si sarebbe allontanato dalla casa familiare ed avrebbe corrisposto alla moglie L. 2 milioni al mese.

Pertanto, la Corte territoriale è incorsa in errore nel non ammettere questa prova, senza motivare sul punto e senza considerare "che la testimonianza di …………………….", contrasta con la circostanza che sin dal 1992 aveva concordato la separazione con la moglie.

Il ricorrente, con il quinto motivo, denuncia violazione o falsa applicazione dell'art. 2697 c.c., artt. 115, 116 c.p.c. e art. 156 c.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, censurando il capo concernente l'assegno di mantenimento.

A suo avviso, la Corte d'appello non ha tenuto conto di quanto esposto "nell'atto di appello (al quale rinviamo)" così testualmente, alla pg. 21 e della circostanza che aveva documentato l'evoluzione della condizione lavorativa e reddituale, mediante la produzione della dichiarazione dei redditi.

La sentenza impugnata non ha considerato i documenti prodotti, valorizzando le dichiarazioni dei testimoni e non attribuendo rilevanza a quelle da lui rese in sede di interrogatorio formale per evidenziare che la partecipazione a rally automobilistici non richiede affatto il possesso di un elevato tenore di vita, inesattamente desunto anche dalle seguenti ulteriori circostanze:
dalla "frequentazione quotidiana" di ristoranti, fondata sulla deposizione del figlio, il quale ha peraltro soltanto riferito di averlo visto "spesso al ristorante"; da un viaggio all'estero;
dall'acquisto di numerose autovetture di grossa cilindrata, che non è stato dimostrato;
dalla vendita di un capannone che, tuttavia, la stessa pronuncia precisa che è "molto verosimile" gli abbia permesso di lucrare una grossa cifra, utilizzando quindi una locuzione espressiva dell'incertezza della circostanza.

Inoltre, la sentenza ha affermato che egli avrebbe fittiziamente venduto un capannone, costituendo una società "immobiliare inoperativa" a mezzo del proprio commercialista tale dr. ……………………., non considerando che quest'ultimo aveva soltanto "sottoscritto la modulistica per la cessazione dell'attività di impresa Serramenti ……………………….", mentre la succitata società ha acquistato l'immobile per costruire un edificio ad un prezzo per nulla sproporzionato, dato che egli non era riuscito ad ottenere un corrispettivo più elevato.

Infine, la circostanza che egli continuava a frequentare il capannone era dovuta al solo fatto che aveva ottenuto di mantenere il proprio cane all'interno del capannone anche dopo la vendita.

Secondo l'istante, la sentenza è viziata nella parte in cui, da un canto, ha affermato che non è sostenibile che egli viva a carico della convivente, senza indicare le ragioni di questa affermazione, dall'altro, ha contraddittoriamente sottolineato che la "notoriamente attività lucrosa" della sua convivente - ritenuta senza indicare quali elementi provino questo convincimento - gli ha consentito di accrescere il suo alto tenore di vita.

D'altronde, la considerazione che egli ha chiesto di dimostrare che vive grazie al sostegno economico della convivente è espressiva della sua non buona condizione economica.

………………………..., con il sesto motivo, denuncia violazione o falsa applicazione dell'art. 2697 c.c. e, artt. 115, 116 c.p.c. e art. 156 c.c., censurando la sentenza nella parte in cui ha ritenuto la moglie vittima di una "tormentosa forma di depressione" e priva di "proventi o redditi che le consentano una vita decorosa ed analoga a quella goduta in costanza del rapporto matrimoniale", senza tenere conto di "una serie di argomentazioni" dedotte nell'atto di appello e che ripropone.

In particolare, l'istante: contesta che i referti medici relativi ad "una serie di sventure" occorse alla moglie dal 1996 al 1998 ne comprovino l'inabilità al lavoro e che sia stata provata la "depressione tormentosa" che la affliggerebbe; deduce che la sentenza non ha considerato che la moglie ha la disponibilità della casa coniugale, che costituisce una forma di contribuzione al mantenimento, della quale, secondo la giurisprudenza di questa Corte, doveva tenersi conto; sostiene che è stata formulata dal suo difensore una vantaggiosa proposta transattiva "di cui è stata allegata nel procedimento di secondo grado la corrispondenza probatoria", che non poteva essere rifiutata se la ……………………... versava davvero in stato di bisogno; lamenta che la Corte territoriale non ha valutato la condizione dei coniugi alla data della decisione.

Il ricorrente, con il settimo motivo, denuncia violazione o falsa applicazione dell'art. 2697 c.c., artt. 115, 116 c.p.c. e art. 156 c.c., nonchè omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia, in quanto la Corte ha giudicato inammissibili, perchè generiche ed irrilevanti, le istanze istruttorie da lui formulate, senza motivare sul punto, erroneamente non considerando che esse miravano a dimostrare che aveva concordato con la moglie una separazione di fatto, convenendo anche le condizioni economiche della separazione, e che egli oggi vive grazie al sostegno economico della dr.ssa ………………….

2.- In linea preliminare va dichiarata inammissibile la produzione dei documenti allegati dal ricorrente alla memoria depositata in prossimità dell'udienza (consistente nella sentenza del Tribunale di Treviso del 3 ottobre 2005 sulla domanda di simulazione della vendita del capannone indicato supra nel quinto motivo, proposta dalla ………………….), non essendo ammessa, ai sensi dell'art. 372 c.p.c., la produzione nel giudizio di cassazione di atti diversi da quelli riguardanti la nullità della sentenza impugnata o l'ammissibilità del ricorso o del controricorso.

Nel merito, primi quattro motivi di censura, che hanno ad oggetto la sentenza nella parte in cui ha ritenuto la separazione addebitabile al ricorrente e che vanno esaminati congiuntamente, in quanto logicamente e giuridicamente connessi, sono infondati e devono essere rigettati.

2.1. - In linea preliminare, occorre premettere che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione - che, in larga misura, è quello essenzialmente prospettato con i mezzi in esame - denunciabile con ricorso per cassazione si configura soltanto quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d'ufficio, ovvero un contrasto insanabile tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione.

Il vizio di motivazione non può consistere nella difformità dell'apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte.

Infatti, al giudice del merito è riservata l'individuazione delle fonti del proprio convincimento, la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, la scelta, fra le risultanze istruttorie, di quelle ritenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia, potendo egli privilegiare, in via logica, alcuni mezzi di prova e disattenderne altri, in ragione del loro diverso spessore probatorio, con l'unico limite della adeguata e congrua motivazione del criterio adottato. Pertanto, il giudice del merito non è tenuto a valutare analiticamente tutte le risultanze processuali, nè a confutare singolarmente le argomentazioni prospettate dalle parti, ma è sufficiente che, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l'iter seguito nella valutazione degli stessi e per le proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex plurimis, Cass. n. 22985 del 2004, n. 1514 del 2003; n. 16034 del 2002).

La denuncia del vizio dell'art. 360 c.p.c., n. 5 richiede, quindi, la precisa indicazione delle lacune argomentative, ovvero delle illogicità consistenti nell'attribuzione agli elementi di giudizio di un significato estraneo al senso comune, ovvero l'indicazione dei punti connotati da mancanza di coerenza logica, e cioè dall'assoluta incompatibilità razionale degli argomenti, sempre che queste carenze ed incongruenze emergano dal ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza. In altri termini, il vizio di motivazione che giustifica la cassazione della sentenza sussiste qualora il tessuto argomentativo presenti lacune, incoerenze o incongruenze così gravi da impedire l'individuazione del criterio logico posto a fondamento della decisione adottata.

Resta, invece, escluso che con il vizio in esame la parte possa far valere il contrasto della ricostruzione con quella operata dal giudice del merito ed attribuire agli elementi acquisiti un valore ed un significato difformi rispetto alle aspettative ed alle deduzioni della parte (per tutte, Cass. n. 6264 del 2006; n. 3881 del 2006; n. 1014 del 2006).

Relativamente al contenuto dell'onere motivazionale che grava sul giudice di appello, va inoltre ricordato che la sentenza di secondo grado deve esplicitare gli elementi imprescindibili a rendere chiaro il percorso argomentativo che fonda la decisione (Cass. Sez. Un. n. 10892 del 2001). Tuttavia, l'onere di adeguatezza della motivazione non comporta che il giudice di secondo grado debba occuparsi di tutte le allegazioni della parte e neppure che egli debba prendere in esame, al fine di confutarle o condividerle, tutte le argomentazioni da questa svolte.

E', infatti, sufficiente che egli esponga, anche in maniera concisa, gli elementi posti a fondamento della decisione e le ragioni del suo convincimento, così da doversi ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni incompatibili con esse e disattesi, per implicito, i rilievi e le tesi pure non espressamente esaminati, ma incompatibili con la conclusione affermata e con l'iter argomentativo che la fonda (Cass., n. 696 del 2002; n. 10569 del 2001; n. 13342 del 1999).

2.2.- In riferimento ai presupposti della pronuncia dell'addebito ai sensi dell'art. 151 c.c., comma 2, questa Corte ha più volte affermato che siffatta pronuncia richiede di accertare se uno dei coniugi abbia tenuto un comportamento contrario ai doveri nascenti dal matrimonio e sussista un nesso di causalità tra questo comportamento ed il determinarsi dell'intollerabilità della prosecuzione della convivenza (tra le molte, Cass. n. 12383 del 2005; n. 13747 del 2003; n. 14162 del 2001; n. 12130 del 2001; n. 279 del 2000).

L'indagine sul punto, involgendo un apprezzamento di fatto, è riservata alla valutazione del giudice del merito ed è quindi censurabile in sede di legittimità soltanto qualora la motivazione che la sorregge sia inficiata da un vizio che dia luogo ad un'obiettiva deficienza del criterio logico seguito dal giudice nella formazione del suo convincimento, ovvero da una contraddittorietà fra le varie parti della pronuncia, oppure da una totale omissione della motivazione su di un punto decisivo.

Non sono, invece, proponibili quelle censure che contengano una autonoma valutazione dei fatti, sostitutiva rispetto a quella operata dal giudice del merito (tra le altre, Cass. n. 12747 del 2003).

In riferimento all'obbligo di fedeltà coniugale, che costituisce oggetto di una norma di condotta imperativa (art. 143 c.c., comma 2), questa Corte, con orientamento al quale va data continuità, (Cass. n. 13747 del 2003; n. 7859 del 2000; cfr. anche Cass. n. 9472 del 1999), ha più volte affermato che la sua violazione, specie se attuata attraverso una stabile relazione extraconiugale, determina normalmente l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza e costituisce, di regola, causa della separazione personale dei coniugi. Siffatta violazione costituisce dunque causa sufficiente a giustificare l'addebito della separazione al coniuge che ne è responsabile, salvo che, all'esito di una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, ne risulti l'irrilevanza, per mancanza di un nesso di causalità tra essa e la crisi coniugale già in atto.

Peraltro, l'inesistenza di questo nesso di causalità deve costituire oggetto di un accertamento rigoroso, che permetta di affermare la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto, in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale.

2.3.- Nel quadro di questi principi le censure oggetto dei mezzi in esame sono infondate.

Relativamente alle deduzioni svolte nel primo motivo, è sufficiente osservare che con esse il ricorrente non prospetta carenze ed incongruenze motivazionali nei termini sopra indicati, bensì, in buona sostanza, delinea una lettura del complesso degli elementi processuali acquisiti difforme rispetto a quella offerta dalla Corte territoriale, che perciò configura una censura inammissibile in questa sede.

Al riguardo, va osservato che la sentenza impugnata, con argomentazioni sintetiche, ma esaustive, ha puntualmente indicato il contenuto delle deposizioni testimoniali rese dai figli del ricorrente, nonchè dai testi ……………………., ………………………. e ………………………., i quali hanno riferito circostanze e fatti dei quali sono stati diretti testimoni (in particolare, la sentenza espone che: i figli del ricorrente "dissero che il padre aveva una relazione con la dentista prima di andare via di casa e videro i due in atteggiamenti affettuosi incompatibili con un rapporto di semplice conoscenza o di amicizia"; il teste ………………………... vide il ricorrente in più occasioni "con una signora cenare nel ristorante in atteggiamenti affettuosi"; la teste ……………….. ha visto "il ………………………. con la compagna in ristorante e comportarsi come una coppia").

Pertanto, le deposizioni rese dai predetti neppure costituiscono una testimonianza de relato, anche a non considerare che la deposizione di questa natura, secondo un principio consolidato, benchè sia attenuata, può tuttavia assumere rilevanza ai fini del convincimento del giudice nel concorso di altri elementi oggettivi e concordanti che ne suffraghino la credibilità (Cass. n. 19774 del 2003; n. 43 del 1999; n. 2718 del 1976).

La sentenza impugnata ha quindi ritenuto gli elementi emergenti da queste deposizioni assistiti dai requisiti di gravità, univocità e concordanza idonei a fondare il convincimento in ordine alla esistenza della relazione extraconiugale, con conclusione immune da vizi per due ordini di considerazioni.

In primo luogo, perchè, secondo un principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, nel nostro ordinamento non esiste un principio di gerarchia, che ponga la prova per presunzione in una posizione inferiore rispetto alle altre e, conseguentemente, il giudice del merito può fondare, anche in via esclusiva, il proprio convincimento su tale prova, nell'esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova e controllarne l'attendibilità, scegliendo fra gli elementi probatori sottoposti al suo esame quelli ritenuti più idonei.

In secondo luogo, perchè la scelta degli elementi che costituiscono la base della presunzione ed il giudizio logico con cui dagli stessi si deduce l'esistenza del fatto ignoto costituiscono un apprezzamento di fatto, che, se adeguatamente motivato, sfugge al controllo di legittimità (Cass. n. 5526 del 2002; n. 12422 del 2000), non essendo proponibili in questa sede le doglianze dirette a porre in discussione la fondatezza della presunzione e la sussistenza dei requisiti di gravità, precisione e concordanza (per tutte, Cass. n. 3974 del 2002; n. 9015 del 1999; n. 4406 del 1999).

Nella specie, la Corte d'appello, con argomentazioni immuni da censure denunciabili in questa sede, ha quindi desunto dalle puntuali circostanze riferite dai testi - sopra richiamate - l'esistenza della relazione, da una data anteriore al matrimonio, palesandosi idonee a comprovarla, considerato anche che il requisito della "gravità" non richiede "che l'esistenza del fatto (ignoto), dedotta per presunzione, assuma un grado di certezza assoluta, essendo sufficiente (...) una ragione-vole certezza (anche probabilistica)" (Cass. n. 4168 del 2001; n. 9782 del 1999) ed essendo possibile "ravvisare ordinaria connessione fra i fatti accertati e quelli ignoti, secondo regole di esperienza che convincano di ciò, sia pure con qualche margine di opinabilità" (Cass. n. 3837 del 2001), e non occorrendo che "l'esistenza del fatto ignoto rappresenti la unica conseguenza possibile", in quanto è applicabile la regola dell'inferenza probabilistica, non quella dell'inferenza necessaria (Cass. n. 5082 del 1997).

Le censure svolte nel secondo motivo sono inammissibili nella parte finale (pg. 17 del ricorso) in cui non riguardano la sentenza impugnata, ma piuttosto la pronuncia di primo grado (Cass. n. 2312 del 2003; n. 14720 del 2000; n. 4852 del 1999, n. 2607 del 1999; n. 2325 del 1991) e laddove prospettano la violazione dell'art. 112 c.p.c. in relazione al mancato esame di un profilo del primo motivo di appello concernente la valutazione della prova svolta dal Tribunale. Infatti, il vizio di omessa pronuncia che determina la nullità della sentenza per violazione dell'art. 112 c.p.c. - rilevante peraltro ai fini di cui all'art. 360 c.p.c., n. 4, e non n. 3 c.p.c. - si configura esclusivamente con riferimento a domande, eccezioni o assunti che richiedano una statuizione di accoglimento o di rigetto, non anche in relazione ad istanze dirette alla rivalutazione del materiale probatorio.

Nella specie, il ricorrente si duole in realtà di una erronea valutazione delle risultanze istruttorie con doglianza che, inammissibilmente, prospetta una differente valutazione del materiale probatorio e non già un vizio deducibile in questa sede, mentre, come è stato sopra precisato, il giudice del merito non è affatto tenuto a valutare analiticamente tutte le risultanze processuali, essendo sufficiente che indichi gli elementi sui quali ha fondato la propria decisione, esplicitando l'iter logico argomentativo che le giustifica (v. supra 2.1.).

Inoltre, il mancato esame di un'istanza istruttoria o di un elemento può dare luogo al vizio di omessa o insufficiente motivazione solo se la prima o il secondo siano tali da invalidare l'efficacia probatoria degli altri sui quali il convincimento si è formato (Cass. n. 6671 del 2006, n. 3004 del 2004), ciò che nella specie va escluso sia accaduto, dato che, come è stato sottolineato nell'esame del primo motivo, la Corte territoriale, con argomentazioni immuni da vizi, ha individuato il complesso delle circostanza che hanno fondato il proprio convincimento, disattendendo quelle logicamente incompatibili con la conclusione affermata.

La censura svolta con il terzo motivo è inammissibile, in quanto l'argomentazione contestata non ha affatto la funzione di sorreggere la decisione ed ha carattere palesemente ultroneo e non costituisce la ratio decidendi della pronuncia (Cass. n. 24591 e n. 21 388 del 2005), tenuto conto che, per quanto sopra precisato, la sentenza è basata su ulteriori e decisive argomentazioni che hanno ricostruito in un quadro logicamente coerente tutti gli elementi che hanno fondato la conclusione con essa affermata.

La pronuncia è, inoltre, immune dai vizi denunciati con il quarto motivo, in quanto ha ritenuto la relazione extraconiugale causa della separazione sia correttamente applicando il principio sopra enunciato, secondo il quale la violazione dell'obbligo di fedeltà determina normalmente l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza e costituisce, di regola, causa della separazione personale dei coniugi (v. supra 2.2.), sia valorizzando a questo fine la deposizione del figlio del ricorrente.

La doglianza concernente la mancata ammissione della prova testimoniale diretta a dimostrare che l'intollerabilità della convivenza era stata determinata da ulteriori, preesistenti e differenti ragioni è, invece, priva di pregio, dato che il giudice di merito neppure è tenuto a respingere espressamente e motivatamente le richieste di tutti i mezzi istruttori avanzate dalle parti qualora nell'esercizio dei suoi poteri discrezionali, insindacabili in sede di legittimità, ritenga sufficientemente istruito il processo, potendo la superfluità dei mezzi non ammessi implicitamente dedursi dal complesso delle argomentazioni contenute nella sentenza (Cass. n. 14611 del 2005; n. 6570 del 2004; n. 5106 del 1995), come è appunto accaduto nella specie.

In definitiva, il ricorrente, con le censure svolte, prospetta una mera difformità del giudizio rispetto alle sue attese ed alle sue deduzioni sul valore, ovvero sul significato attribuito dal giudice di merito agli elementi esaminati, e cioè in ordine all'apprezzamento dei fatti e delle circostanze effettuato secondo i compiti propri del giudice di merito, che ha puntualmente indicato gli elementi analiticamente considerati e valutati nella loro convergenza, pervenendo a comporre un quadro probatorio coerente, confortando la conclusione affermata con motivazione congrua dal punto di vista logico, immune da errori di diritto, rispettosa dei principi che governano la prova, quindi incensurabile in questa sede.

3.- I motivi cinque, sei e sette, da esaminare congiuntamente in quanto strettamente correlati, concernendo la statuizione relativa all'assegno di mantenimento, sono infondati e devono essere rigettati.

3.1. - In linea preliminare, va affermata l'inammissibilità delle censure con le quali l'istante si duole della mancata considerazione di alcune risultanze documentali in quanto, in violazione del principio di autosufficienza, il contenuto dei documenti non è stato specificamente indicato, mediante la loro trascrizione, non potendo svolgere una funzione sostitutiva il riferimento per relationem ad atti o scritti difensivi depositati nel giudizio di merito (tra le molte, Cass. n. 12577 del 2004; n. 10128 del 2003).

Ciò è proprio quanto accaduto per le deduzioni con le quali il G. lamenta che "nell'atto di appello (al quale rinviamo)" (così nel quinto motivo, pg. 21 del ricorso) aveva documentato l'evolversi della sua condizione lavorativa e reddituale.

Inoltre, sotto un ulteriore e concorrente profilo, sono inammissibili le censure nella parte in cui, per modalità della formulazione e per contenuto, neppure espongono con la dovuta specificità gli asseriti errori contenuti nella sentenza impugnata, ma ripropongono le tesi svolte in appello, ovvero addirittura in primo grado.

Tanto è dato riscontrare per quelle formulate deducendo appunto "riproponiamo, a tale riguardo, quanto già evidenziato nella comparsa conclusionale di primo grado" (così, nel quinto motivo, pg. 22 del ricorso, in relazione alla rilevanza, sul piano della condizione economico- patrimoniale, della partecipazione a gare automobilistiche), ovvero lamentando la deduzione nell'atto di appello di argomentazioni che qui "riproponiamo" (così nel sesto motivo - erroneamente numerato come quinto - a pg. 27 del ricorso, in riferimento alle circostanze relative alle condizioni di salute, di lavoro e di reddito della ....................).

Infatti, secondo un principio costituente jus receptum, il ricorrente ha l'onere di indicare con precisione gli asseriti errori contenuti nella sentenza impugnata, in quanto, per la natura di giudizio a critica vincolata propria del processo di cassazione, il singolo motivo assolve alla funzione condizionante il devolutum della sentenza impugnata, con la conseguenza che il requisito non può ritenersi soddisfatto qualora il ricorso per cassazione sia basato sul mero richiamo dei motivi e delle deduzioni svolte con l'atto di appello.

Una tale modalità di formulazione del motivo rende invero impossibile individuare la critica mossa ad una parte ben identificabile del giudizio espresso nella sentenza impugnata, rivelandosi del tutto carente nella specificazione delle deficienze e degli errori asseritamente individuabili nella decisione (Cass. n. 10420 del 2005, n. 16763 del 2002; n. 14075 del 2002, n. 4013 del 1998; n. 2749 del 1995).

Quanto alle ulteriori censure, va preliminarmente ricordato che, al fine della quantificazione dell'assegno di mantenimento, il giudice del merito deve anzitutto accertare il tenore di vita dei coniugi durante il matrimonio, per poi verificare se i mezzi economici a disposizione del coniuge gli permettano di conservarlo indipendentemente dalla percezione di detto assegno e, in caso di esito negativo di questo esame, deve procedere alla valutazione comparativa dei mezzi economici a disposizione di ciascun coniuge al momento della separazione (ex plurimis, Cass. n. 3974 del 2002; n. 4800 del 2002; n. 5762 del 1997). Peraltro, la valutazione delle condizioni economiche delle parti non richiede la determinazione dell'esatto importo dei redditi posseduti attraverso l'acquisizione di dati numerici, in quanto è necessaria e sufficiente una attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi, in relazione alle quali sia possibile pervenire a fissare l'erogazione in favore di quello più debole di una somma corrispondente alle sue esigenze come sopra precisate (Cass., n. 3974 del 2002; n. 4679 del 1998; n. 6612 del 1994; n. 11523 del 1990).

Nella specie la Corte territoriale, nel confermare la pronuncia di primo grado, ha accertato il tenore di vita del ricorrente, valorizzando a tal fine le deposizioni testimoniali dalle quali risultavano una serie di elementi - puntualmente indicati ed oggettivamente espressivi della capacità economica - dai quali ha desunto con argomentazioni prive di incoerenze ed incongruenze logiche che egli aveva uno stile ed un modo di vita univocamente espressivi della sua buona condizione economica.

Soprattutto, ciò che rileva è che la sentenza impugnata, nel confermare la pronuncia di primo grado sul punto in cui ha fissato l'assegno di mantenimento nell'importo di L. 1.200.000 mensili, ha espressamente indicato che lo stesso istante aveva offerto "in sede di separazione un contributo per il mantenimento della famiglia d'origine di L. 2.000.000 mensili", procedendo poi ad indicare che la S. è "soggetta ad una forma di depressione, non ha proventi o redditi che le consentano una vita decorosa ed analoga a quella goduta in costanza di matrimonio".

Risulta dunque chiaro - e ciò si rileva in relazione alle censure svolte con il quinto ed il sesto mezzo - che la Corte territoriale ha con motivazione congrua e logica utilizzato lo strumento presuntivo, nel concorso dei requisiti di cui all'art. 2729 c.c. (in virtù del quale l'elemento a base della presunzione può essere anche unico, purchè grave e preciso, Cass. n. 4472 del 2003; n. 12060 del 2002), nel ritenere che i redditi effettivi del ricorrente fossero superiori a quelli emergenti dalla relativa documentazione fiscale (in tal senso, nonostante la modalità della formulazione, è chiaro il riferimento alla circostanza che egli, per il modo di svolgimento dell'attività, avrebbe eluso le imposizioni fiscali).

Ogni ulteriore doglianza diretta a porre in discussione la fondatezza delle richiamata presunzione e la sussistenza dei requisiti di gravità, precisione e concordanza non è proponibile in questa sede, non essendo censurabile nel giudizio di legittimità l'apprezzamento del giudice di merito circa lo stesso ricorso a tale mezzo di prova e la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, sempre che la motivazione adottata appaia congrua dal punto di vista logico, immune da errori di diritto e rispettosa dei principi che regolano la prova per presunzioni (con specifico riferimento al caso della quantificazione dell'assegno di mantenimento, Cass. 3974 del 2002).

D'altronde, relativamente alla doglianza concernente la mancata valorizzazione della dichiarazione dei redditi, va osservato che la stessa è immeritevole di accoglimento, dato che, secondo un principio che va qui ribadito, "la dichiarazione dei redditi ha una funzione tipicamente ed esclusivamente fiscale, mirando a normalizzare e a porre su un terreno di reciproca fiducia i rapporti tra uffici e contribuente;
essa, pertanto, a cagione della sua natura e dello scopo precipuo per il quale è stata formata, non è riferibile con uguale valore a rapporti estranei al sistema tributario" (Cass. n, 11953 del 1995) e, conseguentemente, non può avere efficacia vincolante per il giudice chiamato, come nella specie, a fissare l'importo dell'assegno di mantenimento.

Pertanto, il giudice di merito può legittimamente fondare il proprio convincimento su altre risultanze probatorie, che è appunto quanto è accaduto nella specie.
A fronte delle puntuali e congruamente motivate argomentazioni contenute nella sentenza, la prospettazione del ricorrente in ordine alle ragioni della frequentazione dell'immobile già in sua proprietà, alla vicenda traslativa concernente l'immobile già in proprietà del ………………….., ai rapporti economici con la sua compagna, alla valutazione delle risultanze comprovanti lo stato di salute della ……………………..., agli elementi esaminati per ricavare il tenore di vita (quali la partecipazione alle gare di rally, il viaggio, il possesso di auto che lo stesso istante ammette essere una Fiat Ulysse che non è certo un'utilitaria) si risolve nella richiesta di un inammissibile riesame nel merito delle risultanze processuali, nella deduzione di una mera difformità del giudizio rispetto alle sue attese ed alle sue deduzioni sul valore, ovvero sul significato attribuito dal giudice di merito agli elementi esaminati, e cioè in ordine all'apprezzamento dei fatti e delle circostanze effettuato secondo i compiti propri del giudice di merito.

La Corte territoriale ha puntualmente indicato gli elementi analiticamente considerati e valutati nella loro convergenza, pervenendo a comporre un quadro probatorio coerente, che l'istante mira invece a scomporre, confortando la conclusione affermata con motivazione congrua dal punto di vista logico, immune da errori di diritto, rispettosa dei principi che governano la prova, quindi incensurabile in questa sede.

Quanto, infine, al settimo motivo (erroneamente rubricato come sesto), al fine di affermarne l'infondatezza, è sufficiente osservare che il giudice di merito neppure è tenuto a respingere espressamente e motivatamente le richieste di tutti i mezzi istruttori avanzate dalle parti qualora nell'esercizio dei suoi poteri discrezionali, insindacabili in sede di legittimità, ritenga sufficientemente istruito il processo, potendo la superfluità dei mezzi non ammessi implicitamente dedursi dal complesso delle argomentazioni contenute nella sentenza (Cass. n. 14611 del 2005; n. 6570 del 2004; n. 5106 del 1995), come è accaduto nella specie.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese di questa fase, che liquida in complessivi Euro 1.500,00 per onorario, oltre Euro 100,00 per spese, spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 9 maggio 2006.
Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2006